Ita
Oggetto di studio di filosofi del calibro di Benedetto Croce, la Zeza è una farsa legata alla celebrazione del Carnevale che vide la luce a Napoli nella seconda metà del Seicento e si diffuse in seguito nelle altre regioni del Regno. L’azione scenica ruota intorno alla storia del matrimonio contrastato di una giovane che a seconda delle tradizioni prende il nome di Porziella, Vicenzella o Zeza stessa. Il guastafeste è Pulcinella, padre della futura sposa in contrapposizione alla moglie, Zeza o Zeza Viola, diminutivo di Lucrezia, il nome che le veniva attribuito nella Commedia dell’arte. Parte integrante del teatro popolare campano, la Zeza è sopravvissuta all’azione del tempo in alcuni comuni irpini. Questo reportage documenta la parata storica che tradizionalmente si tiene la domenica prima del Carnevale ad Avellino, lungo corso Vittorio Emanuele durante la quale sfilano, al suono del trombone e della grancassa, le zeze di Bellizzi irpino e di Mercogliano, in un crescendo di danze “a tondo” e “a intreccio”. Si tratta di uno spettacolo tutto al maschile, fedele all’antica proibizione imposta alle donne di recitare. Uomini di ogni età , grottescamente agghindati per i ruoli femminili in pesanti abiti tutti nastri e fiori, intonano l’antica “canzone di Zeza” che non a caso Pier Paolo Pasolini registrò personalmente ed utilizzò nel suo Decameron, vero e proprio tributo al vitalismo e alla carnalità partenopea. La strada diventa palcoscenico sul quale giganteggiano incipriati e imparruccati, gli attori di quella “non storia” del Sud di cui scriveva Ernesto De Martino, determinata da secoli di subalternità che nel folklore religioso trova il suo riflesso. Il persistere di tale folklore in queste piccole comunità del Meridione rinfranca nonostante sia la conseguenza di un isolamento plurisecolare. Queste foto e di riflesso i loro inconsapevoli protagonisti, ambiscono a riscattare una cultura non ufficiale, sopravvissuta all’azione deleteria del tempo e degli uomini, in piena consonanza con lo spirito del Carnevale, della farsa come riscatto sociale.
Antonella Cappuccio
Eng
The object of study of philosophers of the calibre of Benedetto Croce, the Zeza is a farce linked to the celebration of Carnival that saw the light in Naples in the second half of the 17th century and later spread to the other regions of the Kingdom. The stage action revolves around the story of the thwarted marriage of a young woman who, depending on tradition, is called Porziella, Vicenzella or Zeza herself. The party pooper is Pulcinella, father of the bride-to-be as opposed to his wife, Zeza or Zeza Viola, diminutive of Lucrezia, the name given to her in the Commedia dell'arte. An integral part of Campania's popular theatre, the Zeza has survived the ravages of time in some towns in Irpinia. This report documents the historical parade traditionally held on the Sunday before Carnival in Avellino, along Corso Vittorio Emanuele, during which the zezas of Bellizzi Irpino and Mercogliano parade, to the sound of trombone and bass drum, in a crescendo of 'round' and 'intertwined' dances. This is an all-male show, faithful to the ancient prohibition imposed on women to perform. Men of all ages, grotesquely dressed for the female roles in heavy dresses all ribbons and flowers, intone the ancient 'song of Zeza', which it is no coincidence that Pier Paolo Pasolini personally recorded and used in his Decameron, a true tribute to Neapolitan vitalism and carnality. The street becomes a stage on which, powdered and wigless, the actors of that 'non-history' of the South of which Ernesto De Martino wrote, determined by centuries of subalternity that finds its reflection in religious folklore, stand out. The persistence of such folklore in these small communities of the South is refreshing despite being the consequence of centuries of isolation. These photos and, by reflection, their unwitting protagonists, aspire to redeem an unofficial culture that has survived the deleterious action of time and men, in full consonance with the spirit of Carnival, of farce as social redemption.
Antonella Cappuccio